LA RESISTENZA A PISA – maggio/agosto 1944

LA RESISTENZA A PISA
La Resistenza a Pisa si organizza, a partire dal maggio1944 e fino ad agosto, intorno alla formazione “Nevilio Casarosa”, che agisce facendo base sui Monti Pisani.
Dalla relazione del Comandante Ilio Cecchini (1945):
“La zona operativa comprendeva; i monti pisani e pianura circostante (Lugnano, Uliveto, Calci, Agnano, Asciano, San Giuliano Terme, Rigoli, Molina di Quosa, Ripafratta in provincia di Pisa; Santa Maria del Giudice, Catro, San Lorenzo, Santa Zita, Coselli e Vorno in provincia di Lucca).

La formazione era divisa in tre settori che, pure rimnanendo collegati al comando a mezzo di staffette, per la necesità di operare in zone distanti, avevano una relativa autonomia:

1° settore e comando: Monte Faeta

2° settore (del quale prese il comando il Ten. FOSCO DINUCCI lasciando il primo incarico di commissario politico): monti di Molina di Quosa

3° settore al comando di TEONILO BROGIOTTI: monti di Calci”.

Dal catalogo della mostra “LA GUERRA, L’OCCUPAZIONE,  LA RESISTENZA, LA LIBERAZIONE A SAN GIULIANO TERME” – realizzata in occasione del 60° anniversario della Liberazione – a cura di Stefano Gallo:

 

La scelta resistenziale a Pisa e San Giuliano
La comparsa di azioni di disturbo nei confronti delle truppe di occupazione nel territorio di Pisa e San Giuliano Terme ai primi mesi del 1944. Venivano colpite le strutture logistiche e di comunicazione (telefoni, strade e ferrovie), per rendere più difficile l’organizzazione della difesa da parte dei tedeschi, che si aspettavano un avanzata del fronte, allora ancora attestato a sud sulla linea Gustav, da Cassino alla provincia di Chieti.

Le iniziative dei Gruppi di azione patriottica (Gap) che operavano a Pisa e sulla Lungo- monte, anche con attività di stampa clandestina, si moltiplicarono dal mese di marzo, in analogia con quanto avveniva in altri luoghi nell’Italia occupata: il 23 marzo le Gap romane provocarono con una bomba la morte di 32 militari tedeschi in via Rasella, atto che fu all’origine della rappresaglia delle Fosse Ardeatine. A partire da quell’evento i comandi tedeschi iniziarono a considerare la presenza partigiana come un grave pericolo per la condotta della guerra: il 10 aprile 1944 il comandante delle SS Heinrich Himmler dichiarò l’Italia centrale e settentrionale una «zona di lotta alle bande». Nel giugno, con la liberazione di Roma e l’ingresso del fronte in Toscana, gli ordini relativi alla repressione dei gruppi partigiani divennero più duri e radicali; il 17 giugno Albert Kesselring, capo della Wehrmacht, impartiva le nuovi indicazioni a riguardo: «la lotta contro i partigiani deve essere combattuta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la maggiore severità. Io proteggerò quei comandanti che eccedessero nei loro metodi di lotta ai partigiani».

Nella zona a nord di Pisa si era da poco formato un gruppo armato, in cui erano presenti anche membri dei Gap e prigionieri di guerra fuggiti: come avrebbe poi ricordato il suo comandante, Ilio Cecchini, «si avvertiva […] l’esigenza di una formazione consistente che operasse a ridosso della linea del fronte, un fatto che avrebbe creato molti problemi all’occupante e tedesco e ai suoi collaboratori repubblichini». La formazione venne poi chiamata ‘Nevidio Casarosa’, in memoria del responsabile dei Gap del Basso Valdarno ucciso a Cascina in uno scontro a fuoco il 1o luglio 1944. La ‘Nevidio Casarosa’, considerata un distaccamento del 23o Battaglione Garibaldi che operava nella parte meridionale della provincia di Pisa, concluse operazioni di sabotaggio e sostenne scontri con tedeschi e fascisti tra il luglio e l’agosto del 1944. Con l’assestarsi del fronte lungo l’Arno, le azioni di violenza da parte delle truppe naziste si moltiplicarono, raggiungendo livelli di estrema ferocia. Tra queste l’uccisione di Licia Rosati, sorella di un partigiano, il 4 agosto; la strage della Romagna, le cui 69 vittime vennero lasciate ai margini delle strade con un cartello recante la scritta ‘partigiani’, l’11 agosto; Giuseppe Bertini, parroco di Molina di Quosa, prelevato dalla sua abita- zione e ucciso a Massa con l’accusa di essere un partigiano, il 10 settembre.